Privacy e non solo. Perché la fede cieca nelle norme Ue inizia a vacillare

 

di Fulvio Sarzana

Nei prossimi giorni verrà pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il decreto italiano di armonizzazione al Regolamento Europeo sulla privacy (Gdpr), lungamente atteso. Il testo ha avuto una vita difficile. Presentato dal governo Gentiloni come ultimo atto della propria attività il 21 marzo in grande ritardo rispetto all’entrata in vigore del maggio 2016 in vista della piena operatività Fissata a maggio del 2018, il testo ha vissuto diverse vicissitudini. Il 21 marzo il governo Gentiloni approva in prima lettura il decreto di adeguamento.

Il presupposto di base di quel primo testo era l’applicazione integrale del Regolamento così come approvato dall’Unione Europea, facendo operare la supremazia del diritto comunitario rispetto al diritto nazionale, secondo i dettami affermatisi negli ultimi anni nel rapporto tra diritto comunitario e diritto nazionale Il motivo di fondo del primo testo era peraltro condivisibile in linea teorica e si basava sulla semplificazione ed il riordino della disciplina in materia di trattamento dei dati personali, in un contesto basato su una fede cieca nella regolamentazione comunitaria autoapplicantesi.

Il testo avrebbe dovuto sostituire integralmente il codice privacy, eliminando anche alcuni elementi di distonia con il regolamento stesso, ovvero le disposizioni penali a tutela degli interessati, non previsti nella disciplina comunitaria che si preoccupava principalmente del problema del ne bis in idem

I dubbi che erano sorti su quel primo testo era rappresentato dal fatto che la legge delega prevedeva principi diversi rispetto prima di tutto la permanenza in vita del codice per la protezione dei dati personali né si era affrontato nel testo della stessa legge l’abrogazione delle norme penali a presidio della tutela dei dati personali

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