Tutela della reputazione e diritto all’oblìo

 

Tutela della reputazione e diritto all’oblìo

di Studio legale di Roma

I giornali devono rimuovere il contenuto diffamatorio dagli archivi on line della testata in caso di diffamazione, a differenza di quanto avviene in relazione al diritto all’oblìo.

E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione in una ordinanza di fine aprile 2021.

La Suprema Corte era stata evocata da uno dei maggiori quotidiani italiani, che invocava la riforma di una sentenza che l’aveva vista soccombente nel giudizio di merito.

La testata intendeva far affermare il principio in base alla quale la deindicizzazione di un articolo non ne obbliga la cancellazione ma il semplice spostamento nell’archivio on line del giornale.

La Corte richiama la giurisprudenza in materia di diritto all’oblio della Suprema Corte e stabilisce il criterio discretivo tra cancellazione di un articolo on line in caso di tutela della riservatezza da quello in caso di tutela dell’onore e della reputazione.

Tutela della reputazione e diritto all’oblìo

Il Supremo Collegio ricorda che  “quando si parla del diritto all’oblio, “ci si riferisce, in realtà, ad almeno tre differenti situazioni”, ovvero: “quella di chi desidera non vedere nuovamente pubblicate notizie relative a vicende, in passato legittimamente diffuse, quando è trascorso un certo tempo tra la prima e la seconda pubblicazione”; quella, invece, “connessa all’uso di internet ed alla reperibilità delle notizie nella rete, consistente nell’esigenza di collocare la pubblicazione, avvenuta legittimamente molti anni prima, nel contesto attuale”; e quella, infine, trattata nella sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea 13 maggio 2014, in C-131/12, “nella quale l’interessato fa valere il diritto alla cancellazione dei dati”, o meglio il “diritto a che l’informazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, per il tempo decorso, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome”.

In questa prospettiva, dunque, e fermo restando che la testé citata sentenza delle Sezioni Unite non crea vincoli all’odierna decisione (e ciò perché tale arresto – oltre ad affermare che la fattispecie allora in esame corrispondeva “alla prima delle tre ipotesi suindicate”, rappresentando “un caso classico, cioè un caso connesso col problema della libertà di stampa e la diffusione della notizia a mezzo giornalistico, rimanendo perciò escluso ogni collegamento con i problemi posti dalla moderna tecnologia e dall’uso della rete internet” – precisa di voler circoscrivere “il proprio intervento nomofilattico esclusivamente in tale ambito”), deve rilevarsi che l’elemento, per così dire, “unificante” tutte le ipotesi in cui viene in rilievo il conflitto tra il diritto della persona all’oblio di notizie che la riguardino ed il contrapposto interesse alla conservazione delle stesse in archivi informatici, è costituito dalla liceità dell’iniziale pubblicazione. All’opposto, nel presente caso, tale presupposto difetta, essendo stata la notizia ritenuta diffamatoria. Tale peculiarità, dunque, impone il rigetto del motivo qui in esame”.

 

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